martedì 13 marzo 2012 0 commenti

La storia e i principi del Darwinismo e del Neodarwinismo

Charles Darwin, celeberrimo naturalista inglese vissuto tra il 1809 ed il 1882, fu l’artefice della teoria – oggi conosciuta sotto il nome di darwinismo – che rivoluzionò completamente la concezione finalistica del fissismo biologico ponendo le basi della moderna concezione dell’evoluzione. Darwin nacque in una famiglia molto benestante di tradizioni naturalistiche (suo padre, Erasmus Darwin, nella sua Zoonomia aveva affermato l’esistenza di una evoluzione dovuta all’influenza dell’ambiente) e, sebbene inizialmente interessato alla teologia, i suoi interessi si rivolsero dal 1831 in poi ad una sistematica analisi comparativa dei viventi. In quell’anno Darwin si imbarcò infatti sul brigantino Beagle come naturalista di bordo non retribuito e nei cinque anni successivi (durante i quali il brigantino si spostò dall’Argentina all’Australia indi dalle isole del Pacifico all’Africa meridionale) egli ebbe la possibilità di compiere numerose osservazioni da cui dedusse alcuni dei fondamenti della sua futura teoria: ad esempio sulle isole Galàpagos  Darwin notò una grande variabilità morfologica e metabolica nei fringuelli, il che non si verificava nel Sud America dove invece i fringuelli erano abbastanza simili. Darwin ipotizzò che, essendo tali isole relativamente recenti, i fringuelli che vi erano giunti avevano avuto la possibilità di specializzarsi in diversi ambiti alimentari poiché non vi erano altri organismi che li già detenevano; tali organismi esistevano invece all’interno del continente e non permisero la diversificazione dei fringuelli che vi restarono. Questo esempio racchiude in se l’idea di variabilità (la diversità dei caratteri, non sempre vantaggiosi, in una popolazione) ed  il concetto di mutamento, o meglio di “evoluzione”*: tale concetto, che si opponeva al fissismo di Muvier, era stato invero intuito precedentemente (quantunque in un senso incompleto o in parte errato) da Erasmus Darwin e dal naturalista Jean-Baptiste de Lamark il quale, nel suo trattato Philosophie zoologique, individuava nella legge dell’uso e del non uso e nella legge dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti*, le cause di esso. Ritornato in Inghilterra nel 1836, Darwin svolse una serie di brillanti esperimenti nella sua villa a qualche chilometro da Londra, dove condusse il resto della sua vita, interessandosi alle tecniche di allevamento ed in particolare alla “selezione artificiale” la tecnica grazie alla quale è possibile ottenere delle razze specifiche all’interno di una specie (ad esempio le varie razze canine), da cui egli pensò che se era possibile far derivare delle differenti razze da una specie, era ragionevole supporre che le varie specie derivassero similmente da altre specie.
Darwin dedusse il famoso concetto della “lotta per la sopravvivenza” o “sopravvivenza del più adatto”, uno dei pilastri della teoria evoluzionistica, da una lettura del trattato Sulla popolazione dell’economista britannico Robert Malthus (1766-1834) in cui si afferma che la popolazione umana cresce in maniera superiore ai beni prodotti e sarebbe stata quindi ridotta a causa di una carestia o un’epidemia.* Darwin considerò che l’habitat di una popolazione non è in grado di fornire le risorse per tutti gli individui, per cui solo una parte di essi – quella con le caratteristiche più adatte o più vantaggiose all’ambiente in cui vive – è in grado di sopravvivere. L’adattabilità risulta tuttavia inutile se non è accompagnata dalla capacità di riprodursi (fitness Darwiniano), in quanto un individuo forte ma sterile non tramanda i propri geni alla generazione successiva e dunque a livello evolutivo la sua esistenza risulta inefficace. La stretta relazione tra variabilità e lotta per la sopravvivenza determina la cosiddetta “selezione naturale” ovvero la legge che determina la prevalenza, la sopravvivenza o anche l’estinzione di un gruppo di individui rispetto ad un altro pertanto la legge alla base dell’evoluzione stessa. La selezione può essere dovuta non solo alle caratteristiche dell’ambiente, ma anche a particolari requisiti necessari all’accoppiamento (dunque interni alla popolazione in esame) nel qual caso si parla di bimorfismo sessuale e di selezione sessuale. La selezione inoltre può talvolta favorire gruppi di individui contraddistinti da caratteristiche diverse: in questo caso si distinguono tre tipi di selezione: - Se la selezione favorisce individui dai caratteri estremi e opposti tra loro si parla di selezione separatrice ( si determinano due gruppi nettamente distinti).
- Se la selezione favorisce individui dai caratteri intermedi si parla di selezione standardizzante (la popolazione tende ad omogeneizzarsi).
- Se la selezione favorisce un individui caratterizzati da un solo carattere estremo si parla di selezione direzionale (la popolazione tende ad assumere caratteri simili a quello favorito).
Per Darwin, a differenza che per Lamark, l’evoluzione non è un processo volto ad progressivo miglioramento ma la somma di una serie di piccole modificazioni volte ad un adattamento all’ambiente -non sempre generalmente positive - (gradualismo). Quando, nel 1858,  la teoria di Darwin era ormai pronta per essere resa pubblica, egli ricevette una memoria dal naturalista Alfred Wallace da consegnare alla Società Linneiana di Londra in cui si esponeva la stessa teoria di Darwin, che consegnò e vi aggiunse un proprio scritto. Il 24 novembre dell’anno seguente Darwin pubblicò il famoso trattato Sulla origine delle specie, in cui si esplicava con forte rigore scientifico e con abbondanza di esempi per i vari casi trattati  la teoria su cui egli aveva lavorato fino ad allora. L’opera aprì da subito un acceso dibattito che vide contrapposti Darwin con gli scienziati al suo seguito e i sostenitori del fissismo (in particolare gli ecclesiastici): il trasformismo avallato dalla teoria di Darwin negava una stabilità nella morfologia dei viventi, il che era l’opposto di quanto sosteneva il fissismo; la teoria dell’evoluzione minacciava inoltre di generare uno stravolgimento della tradizionale concezione antropocentrica di natura teologica, come effettivamente accadde. A seguito del trattato sulla origine delle specie si aprirono diversi dibattiti sulla natura dell’uomo e più precisamente se egli dovesse considerarsi frutto di un processo evolutivo alla stregua degli altri viventi: a tal proposito famosa è la controversia nata durante una conferenza sull’evoluzionismo applicato alla specie umana tenuta a Oxford nel 1860 dal biologo Thomas Huxley, un sostenitore del darwinismo, tra questo e il vescovo anglicano Samuel Wilderforce il quale domandò ironicamente a Huxley se “era per parte di madre o di padre che egli derivasse da una scimmia” al che Huxley replicò che “non considerava affatto una vergogna avere come progenitore una scimmia, ma piuttosto essere imparentato con un uomo che impiegava la sua intelligenza per nascondere la verità”°. Gli accesi dibattiti nati a seguito di simili considerazioni negli anni successivi furono in parte placati con la pubblicazione del trattato L’origine dell’uomo (1871) in cui Darwin evidenziava le tesi suddette sull’evoluzione dell’uomo in due testi, in cui esplica rispettivamente e riassume le sue argomentazioni, le quali possono essere suddivise in argomentazioni di carattere logico-deduttivo – in esse si afferma principalmente che se si ammette la validità delle leggi dell’evoluzionismo non vi è alcun motivo scientificamente plausibile per escludere l’uomo dalla loro azione – e argomentazioni di carattere empirico-induttivo – in esse si elenca una serie di esempi di anatomia comparata che mettono in risalto la presenza di organi omologhi e organi analoghi tra gli uomini e altri mammiferi -.
La precisione matematica del Darwinismo è ancora oggi ritenuta stupefacente dalla maggior parte degli scienziati poiché Darwin stesso non sapeva dell’azione dei geni nella determinazione dei caratteri: l’odierna concezione dell’evoluzione, detta Neodarwinismo, basata sulla teoria sintetica dell’evoluzione (una sintesi tra darwinismo e genetica, sviluppata nel XX secolo), introduce in particolare l’azione del caso per giustificare la variabilità genetica. La genetica delle popolazioni, la branca della biologia che studia le mutazioni genetiche in gruppi di individui, considera oggi nuovi parametri valutativi quali il pool genetico (l’insieme o il flusso dei geni presenti in una popolazione che rimane invariato se non vi è evoluzione) ed effetti che ne determinano modificazioni non obbligatoriamente legati all’ambiente quanto a variabili aleatorie quali l’effetto a collo di bottiglia, - un calo improvviso del numero di individui a causa di un’epidemia o di una catastrofe ambientale  e  lo sviluppo di una popolazione caratterizzata dal pool degli individui sopravvissuti- o l’effetto del fondatore – la nascita di una nuova popolazione in cui è presente il pool genetico di un gruppo di individui proveniente da un’altra popolazione -.
*Paradossalmente Darwin non adottò quasi mai il termine “evoluzione” nel trattato Sulla origine delle specie per paura della critica; alla stessa causa si devono in parte il grande rigore espositivo e la ricchezza di esempi.
*La legge dell’uso e del non uso afferma che organi ricorsivamente usati tendono a svilupparsi mentre organi poco o non usati tendono a scomparire (famoso esempio di questa legge è l’evoluzione del collo della giraffa). La legge della trasmissione dei caratteri acquisiti afferma che i caratteri acquisiti da un individui sono trasmessi direttamente alla prole (principio non vero in quanto esistono esempi di genitori e figli con predisposizioni completamente diverse)
*Gli studi di Malthus dimostrano matematicamente che una qualunque popolazione tende nel tempo a raggiungere un numero di abitanti k, detto popolazione limite. Ciò è dovuto a una serie di fattori ambientali riassunti in una costante a la cui discutibilità è espressa dalla imprecisione del valore di k ad essa legato.
BIBLIOGRAFIA
Le espressioni seguite dal simbolo ° sono tratte da “Charles Darwin. L’uomo: evoluzione di un progetto?” di Edoardo Boncinelli.

Post scritto da Alfredo Ingraldo, alunno della classe 3' sez. "E".

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